Il nostro corpo è composto per il 65% d’acqua, circa. È l’elemento preponderante, eppure non lo vediamo. Ecco, le canzoni degli Afterhours, i testi e le parole di Manuel Agnelli si immergono nella mia acqua. Nel mio mare interiore. Vanno a scavare, goccia dopo goccia, nella parte intima e nascosta, ma caratterizzante.
Danno forma e voce alla paura di trovarsi di fronte a “Quello che non c’è” e sentirsene prigionieri, continuando a curare foglie nate da alberi secchi, morti. Volendo di nuovo la scelta, il controllo. Chiedendosi: “Perché faccio così, perché sono così?”
Arrivare in fondo, forse, ma sperare che non sarà per sempre.”Non è per sempre”. Dal buio più fitto ho già riacceso una scintilla. Non devo e non posso dimenticare che quel diploma in fallimento è già stato, una volta, una laurea per reagire.
Guardarmi allo specchio e vedere gli occhi blu in cui sono riflessa ad ogni ritornello di “Non voglio ritrovare il tuo nome”. Il ricordo del concerto, quando l’ho ascoltata dal vivo, immobile, piangendo. E il calore di un abbraccio, di una mano stretta, forte.
Colorarmi di un non-colore, scegliere quella tinta “Bianca”, che è un po’ come definiamo l’acqua, da bimbi. Donare le sfumature invisibili, impercettibili, a chi è capace di intravederle e intuirle, con delicatezza. Per scambiarle, sulla tavolozza dell’empatia.
La stessa empatia che ho notato dall’inizio di Ossigeno, in un dettaglio comune a tutte le puntate. Manuel Agnelli abbraccia i suoi ospiti, mai scelti casualmente. Ognuno è il simbolo di qualcosa di più alto. È il tentativo vivente di comunicarlo. È la prova che l’ombra e la sensibilità possono e devono esistere, insieme. Possono e devono dare lo spunto. Possono e devono essere condivisi con chi ne riconosce la fatica, il coraggio, il valore. E in quell’abbraccio è impressa una frase, un verso di “Strategie”:
So cos’è.
Buon Compleanno Manuel.